Pur se viene raggiunto lo standard del più probabile che non, il giudice può discostarsene tramite prudente apprezzamento

È principio assodato che il “più probabile che non” costituisce lo standard probatorio in materia civile. Questo implica che, rispetto ad ogni enunciato, si consideri l’eventualità che esso possa essere vero o falso, ossia che sul medesimo fatto vi siano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa, sicché, tra queste due il giudice deve scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all’altra. Questa regola rileva, quanto al nesso causale, nel caso di multifattorialità sulla produzione dell’evento dannoso, allorché sullo stesso esistano diversi enunciati che denuncino il fatto in modi diversi.

Il principio del “più probabile che non”, speculare e più attenuato a quello dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” in campo penalistico, non può tuttavia estendersi fino a ritenere esistente una prova sul nesso causale che non è stata fornita.

In mancanza di detti elementi probatori, nonché in presenza della multifattorialità sopra citata, il principio in discorso non può leggersi come una mera equazione matematica. Esso, infatti, non impone al giudice di ritenere causalmente provato un fatto sol perché non è prevista dalle norme civilistiche la necessaria prova oltre ogni ragionevole dubbio.

 Ed invero, nella decisione, il Giudice deve usare il proprio prudente apprezzamento, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., potendo essere spinto anche a ritenere non causalmente provato un fatto pur laddove abbia raggiunto la soglia del “più probabile che non”.

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 18.12.2024, n. 33129