Interpretazione per analogia ex art. 12 preleggi: solo in caso di lacuna e non quando una disposizione normativa non preveda una certa disciplina. No all’analogia in funzione creativa.
L’interpretazione, o applicazione, analogica o per analogia è costituita dunque dal procedimento mediante il quale chi interpreta ed applica il diritto può sopperire alle eventuali deficienze di previsione legislativa (c.d. lacuna dell’ordinamento giuridico) facendo ricorso alla disciplina normativa prevista per un caso “simile”, ovvero per “materie analoghe”: ciò, in forza dei principi fondamentali del nostro ordinamento, secondo cui il giudice deve decidere ogni caso che venga sottoposto al suo esame (“obbligo di non denegare giustizia”) e deve assumere la relativa decisione applicando una norma dell’ordinamento positivo (“obbligo di fedeltà del giudice alla legge” ex art. 101, comma 2, Cost.).
Segnatamente, quindi, per poter ricorrere al procedimento per analogia, è necessario che:
- manchi una norma di legge atta a regolare direttamente un caso su cui il giudice sia chiamato a decidere;
- sia possibile ritrovare una o più norme positive (c.d. analogia legis) o uno o più principi giuridici (c.d. analogia iuris), il cui valore qualificatorio sia tale che le rispettive conseguenze normative possano essere applicate alla situazione originariamente carente di una specifica regolamentazione, sulla base dell’accertamento di un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi (giuridici o di fatto) della vicenda regolata ed alcuni elementi di quella non regolata: costituendo il fondamento dell’analogia la ricerca del quid comune mediante il quale l’ordinamento procede alla propria “autointegrazione” (così ancora la menzionata decisione).
Onde l’analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’incipit del precetto (“se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …”); l’art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie. La regola, secondo cui l’applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui, altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all’esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente compromissione delle prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Onde non semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da colmare facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi. Ciò tanto più quando si tratti di estendere l’applicazione di una disposizione specifica oltre l’ambito di applicazione delineato dal legislatore, ovvero di applicarla “analogicamente” a vicenda concreta da questi non contemplata ed in presenza di diversi presupposti integrativi della fattispecie.
Dunque, non si può ricorrere all’applicazione analogica semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, non integrando tale situazione ex se una lacuna normativa. L’analogia postula, infatti, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere altrimenti (art. 12 preleggi: “se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …”). La previsione si spiega storicamente nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa della mancanza di norme che disciplinino la fattispecie.
Cassazione civile, sezione prima, ordinanza del 14.3.2025, n. 6850