Libertà di forme e ammissibilità dell’atto nonostante il difetto di sinteticità: dopo la riforma Cartabia, le cose potrebbero cambiare?

Alla stregua dell’art. 342 c.p.c., la citazione introduttiva del giudizio di appello deve contenere una indicazione sommaria delle parti del provvedimento impugnato che si aspira a vedere modificate e delle circostanze di fatto da cui derivi la violazione di legge, precisandone la rilevanza ai fini della decisione. Tanto vale a significare che la parte impugnante sia tenuta, da un lato, ad individuare in mamera chiara e definita i singoli profili della decisione del primo giudice di cui intenda far valere l’erroneità e, dall’altro, ad enunciare esplicitamente e argomentare i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

Il tutto nel rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza dell’atto introduttivo del giudizio, principi che, a rigore, vanno osservati anche dalla parte convenuta nel giudizio di impugnazione in sede di redazione della comparsa contemplante l’impugnazione incidentale.

La norma processuale, pertanto, esclude che nell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione debba operarsi la pedissequa riproduzione integrale dei contenuti della motivazione della sentenza fatta oggetto di gravame e delle conclusioni rassegnate dal C.t.u. nella relazione peritale scritta depositata in primo grado. A maggior ragione deve ritenersi preclusa la ripetizione più volte, nel corpo dell’atto di appello, della riproduzione integrale dei contenuti dei menzionati atti.

Orbene, nel codice di procedura civile una espressa prescrizione di chiarezza e sinteticità dell’atto di appello è stata introdotta esclusivamente con la recentissima riforma di cui al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che ha riformulato l’art.342 comma 1 c.p.c. prevedendo che l’appello per ciascuno dei motivi deve indicare, a pena di inammissibilità, “in modo chiaro, sintetico e specifico” quanto riportato ai punti 1), 2) e 3) della stessa norma.

Tuttavia, all’evidenza la disposizione dell’art. 342 c.p.c. nella sua ultima versione (applicabile a decorrere da marzo 2023) non è operante in riferimento alla presente controversia.

Prima della novella legislativa appena evocata una espressa prescrizione di sinteticità era posta solo con riferimento agli atti del giudice (nei riferimenti alla “concisa” esposizione ed alla “succinta” motivazione contenuti negli art. 132 e 134 c.p.c e art. 118 disp. att. c.p.c.), mentre per gli atti di parte (per le cui modalità redazionali le uniche prescrizioni espresse sono quelle dettate dall’art. 46 disp. att. c.p.c., concernenti profili meramente estrinseci) operava il principio della libertà delle forme, fissato in via residuale dall’art. 121 c.p.c.

Il principio di sinteticità degli atti processuali (tanto del giudice quanto delle parti) era stato, tuttavia, già introdotto nell’ordinamento processuale con l’art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo, approvato con il D.Lgs. n. 104 del 2010, alla cui stregua, “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”.

Tale disposizione esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, in quanto funzionale a garantire, per un verso, il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato con la modifica dell’art. 111 Cost., e, per altro verso, il principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste ed il giudice. La smodata sovrabbondanza espositiva degli atti di parte, infatti, non soltanto grava l’amministrazione della giustizia e le controparti processuali di oneri superflui, ma, lungi dall’illuminare i temi del decidere, avvolge gli stessi in una cortina che ne confonde i contorni e ne impedisce la chiara intelligenza, risolvendosi, in definitiva, in un impedimento al pieno e proficuo svolgimento del contraddittorio processuale.

Prima della novella legislativa dell’ottobre 2022, tuttavia, il principio di sinteticità degli atti di appello non era assistito da una specifica sanzione processuale, cosicché l’incontinenza espositiva – pur quando assumeva caratteri di manifesta eccessività – non poteva determinare, di per sé stessa, l’inammissibilità dell impugnazione.

Pertanto, tale sanzione non può applicarsi per gli appelli già proposti e pendenti alla data di entrata in vigore dell’art. 342 comma 1 c.p.c. nella formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 149 del 2022.

La violazione del principio di sinteticità, tuttavia, se per gli appelli già proposti e pendenti non determina di per sé stessa l’inammissibilità dell’impugnazione, espone al rischio di pregiudicare la intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse al provvedimento gravato e, quindi, in definitiva, ridondando nella violazione delle prescrizioni, queste sì assistite da una sanzione testuale di inammissibilità, di cui ai nn. 1 e 2 dell’art. 342 c.p.c. nella precedente formulazione.

Corte d’Appello di Potenza, sentenza del 2.3.2023

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