Riforma Cartabia, appello: non è più necessario riprodurre integralmente le parti del provvedimento censurate; i criteri e limiti di redazione rilevano solo in tema di spese di lite; l’inammissibilità continua ad essere conseguenza di un motivo di gravame non “specifico”

Secondo il novellato art. 434, comma 1 c.p.c. (dopo Cartabia) ciascun motivo di appello in tema di lavoro deve indicare, a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico il capo della decisione che viene impugnato, le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado, le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Ogni censura, quindi, deve essere espressamente orientata verso un determinato “capo” della decisione impugnata, non essendo più necessario, quindi, riprodurre integralmente “le parti del provvedimento” censurate (così com’era richiesto dalla previgente formulazione del requisito n. 1 dell’art. 342 c.p.c.).

Le denunciate violazioni di legge devono, in ogni caso, essere oggetto di argomentazioni che ne spieghino la “rilevanza” in vista della riforma della decisione appellata. Tutte le deduzioni in ciascun motivo vanno, inoltre, formulate “in modo chiaro, sintetico e specifico”. È da intendersi, al riguardo, innanzitutto ribadito il principio introdotto dalla riforma sulla redazione di ogni atto processuale “in modo chiaro e sintetico” (art. 121, comma 1, c.p.c.), in conformità, quindi, ai “criteri e limiti di redazione dell’atto” fissati dal regolamento attuativo ministeriale, i quali, tuttavia, in via generale non pregiudicano la validità dell’atto ma possono solo assumere rilievo in sede di accollo delle spese processuali all’esito del giudizio (art. 46, commi 4 e 5, disp. att. c.p.c.). La nuova formulazione della citata norma ha, pertanto, voluto valorizzare i principi di chiarezza e sinteticità già ampiamente acquisiti dalla giurisprudenza, la quale – rigettando interpretazioni eccessivamente formalistiche – ha sempre affermato che gli oneri che vengono imposti alla parte appellante debbono essere interpretati nel senso di consentire di individuare agevolmente, sotto il profilo della latitudine devolutiva, le parti della sentenza impugnata e di circoscrivere quindi l’ambito del giudizio di gravame, con riferimento non solo agli specifici capi della sentenza ma anche ai passaggi argomentativi che li sorreggono. È, pertanto, da ritenere che la sanzione della “inammissibilità” continui in buona sostanza ad essere conseguenza di un motivo di gravame non “specifico”, rispetto al quale l’oscurità e/o la prolissità della formulazione possono eventualmente essere soltanto indici sintomatici del vizio. Ad avviso di questa Corte, in continuità con la consolidata giurisprudenza formatasi sulla precedente disciplina, il legislatore non ha previsto che le deduzioni della parte appellante debbano assumere una determinata forma o ricalcare la decisione appellata con diverso contenuto; il legislatore ha solo statuito che i rilievi critici proposti debbano essere articolati in modo chiaro ed esauriente, oltre che pertinente.

Tribunale di Milano, sentenza del 28.9.2023

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