Norma tributaria si interpreta principalmente tramite la lettera della legge ex art. 12 preleggi (IL≥IR): significato proprio coincide con tecnico dicono le Sezioni Unite

Non ci sono ragioni per sottrarre la norma tributaria a quello che è il criterio-cardine nella interpretazione della legge in generale, come definito dall’art. 12 preleggi, comma 1, secondo cui: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.

Va anzi detto come proprio con particolare riguardo alla disposizione tributaria, ed alle implicazioni che essa sottende ex art. 53 Cost., il primato del criterio letterale debba massimamente concorrere – per il suo carattere di oggettività e nel suo naturale obiettivo di ricerca di un senso normativo il più possibile riconoscibile e “palese” – alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie impositiva, fattispecie che il legislatore dello Statuto vuole in via generale sorretta da disposizioni “chiare e trasparenti” (L. n. 212 del 2000, art. 2).

Ebbene, venendo alla letteralità della norma in esame nell’adozione di una sua quanto più lineare esegesi, va in primo luogo osservato come essa specifichi espressamente che le società prese in considerazione dalla tariffa ex art. 4 sono quelle “di qualunque tipo ed oggetto”, trovando il termine “qualunque” sinonimo corrente in “ogni”, “qualsivoglia”, “tutte”.

Questo aggettivo indefinito di significato comune viene riferito a “tipo” ed “oggetto”.

Va in proposito detto che il richiamo dell’art. 12 cit. al “significato proprio” delle parole deve indurre a ritenere che, ogniqualvolta queste ultime, per quanto utilizzate anche nel linguaggio corrente, siano portatrici di un significato specifico perchè di appartenenza e derivazione da un determinato ramo dell’Ordinamento giuridico, siano state dal legislatore proprio in quest’ultimo senso impiegate.

In modo tale che – quantomeno di regola – le nozioni di significato “proprio” e di significato “tecnico-giuridico” vengono a coincidere.

E neppure a questa regola fa eccezione il diritto tributario il quale, per quanto per molti aspetti autonomo ed autosufficiente rispetto agli altri rami dell’ordinamento, muove tuttavia certamente anch’esso da presupposti di tecnicità linguistica oltre che di appropriatezza, organicità e tendenziale uniformità ordinamentale dei termini adottati. Regola generale, questa, non contraddetta da quelle ipotesi – pur esistenti, ma appunto eccezionali e derogatorie – nelle quali il legislatore tributario pieghi invece ad un diverso e dedicato significato un termine mutuato da altri campi del diritto.

A maggior ragione, poi, questo va detto con specifico riguardo al sotto-sistema normativo dell’imposizione di registro il quale si articola nella individuazione tariffaria di atti e famiglie di effetti giuridici (reputati dal legislatore variamente significativi di un trapasso di ricchezza e comunque di capacità contributiva) che trovano esclusiva matrice e disciplina proprio in altri settori ordinamentali di richiamo, segnatamente nel diritto civile, commerciale e – per quanto qui più conta – societario.

Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del  25.07.2022, n. 23051

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