Leasing finanziario (L. 124/2017): no all’effetto retroattivo. L’interpretazione evolutiva è limitata dall’enunciato (IL ≥ IR).

La funzione nomofilattica della Corte di cassazione è sempre più orientata nell’ottica valoriale della certezza del diritto e della sicurezza giuridica, a presidio di un trattamento uniforme dei cittadini dinanzi al giudice, quale precipitato immediato del principio di eguaglianza, così da accreditare il “precedente” come regola “forte” di decisione di casi a venire e, dunque, elevandolo a criterio e misura della prevedibilità e calcolabilità riguardo alla decisione di controversie future.

Tuttavia, Non può l’attività di interpretazione delle norme, come tale, superare quei limiti che si impongono nel suo svolgimento e che danno la misura della distinzione di piani sui quali operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice, tanto da non potersi collocare il “precedente” stesso, seppure proveniente dal giudice di vertice del plesso giurisdizionale, allo stesso livello della cogenza che esprime, per statuto, la fonte, alla quale il giudice è (soltanto) soggetto (art. 101 Cost., comma 2).

Il legislatore, infatti, “introduce nell’ordinamento un quid novi che rende obbligatorio per tutti un precetto o una regola di comportamento”; il giudice, come detto, “applica al caso concreto la legge intesa secondo le comuni regole dell’ermeneutica  e in tal modo ne disvela il significato corretto, pur sempre insito nella stessa, in un dato momento storico, quale espressione di un determinato contesto sociale e culturale”.

E’ in tal senso, pertanto, che la funzione assolta dalla giurisprudenza è di natura “dichiarativa”, giacchè riferita ad una preesistente disposizione di legge, della quale è volta a riconoscere l’esistenza e l’effettiva portata, “con esclusione formale di un’efficacia direttamente creativa”.

L’attività interpretativa giudiziale, sia pure a vocazione, per l’appunto, “evolutiva”, è segnata, anzitutto, dal limite di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa.

Ciò consente di affermare, anzitutto, che, al fine di poter colmare l’eventuale lacuna che l’ordinamento esibisca rispetto alla disciplina di un caso concreto, il procedimento analogico (o interpretazione/integrazione analogica) esige (art. 12 preleggi, comma 2) che la disposizione (analogia legis) o lo stesso “principio generale dell’ordinamento” (analogia iuris), che a quel caso forniranno la regula iuris in quanto si possa ravvisare la “eadem ratio” – ossia la medesima ragione giustificativa che legittima il ricorso al procedimento stesso, ciò implicando il riconoscimento a monte di un rapporto di similitudine fondato sulla comunanza di elementi (giuridici o fattuali), strutturali e/o funzionali, rilevanti devono essere presenti all’interno dell’ordinamento (quali norme frutto dell’attività interpretativa svolta) nel momento in cui il giudice si trova a doverli applicare, non potendo egli fare opera creativa nei termini appena evidenziati.

Inoltre, non può l’interpretazione delle norme da parte del giudice “interferire sul terreno della vigenza della legge che è connessa alla sua entrata in vigore come dalla stessa predeterminata con regole generali (artt. 10, 11, 14 e 15 disp. gen.) o specifiche vincolanti per l’interprete”.

La L. n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicchè, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all’art. 1526 c.c. e non quella dettata dalla L. Fall., art. 72-quater, rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all’analogia legis, nè essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad una applicazione retroattiva della L. n. 124 del 2017.

In base alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, L. Fall., ex art. 93, in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.

Cassazione civile, sezioni unite, sentenza del 29.01.2021, n. 2143

Condividi
Visualizza
Nascondi