Sì al risarcimento del danno da perdita del feto: perdita del frutto del concepimento è danno parentale

Il panico, gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero, non possono considerarsi affatto come un tipo di danno assolutamente avulso rispetto alla domanda di risarcimento formulata ex art. 2059 c.c.

Esiste, difatti, una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita – caso nel quale è la vita di relazione a subire profonde modificazioni in pejus. Una differenziazione che rileva da un punto di vista qualitativo/quantitativo del risarcimento se è vero che, come insegna la più recente ed avveduta scienza psicologica, e contrariamente alle originarie teorie sull’elaborazione del lutto, quella della cosiddetta elaborazione del lutto è un’idea fallace, poichè che camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi. Il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto.

Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza, non la relazione. E’ il dolore, non la vita, che cambia, se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a se stessi nel mondo.

Cassazione civile, sezione terza, ordinanza del 29.9.2021, n. 26301

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