No all’interpretazione estensiva, quando è eversiva della lettera della legge

L‘analogia postula, anzitutto, che sia correttamente individuata una “lacuna”, tanto che al giudice sia impossibile decidere, secondo l’incipit del precetto («se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione …»); l’art. 12, comma 2, preleggi si spiega storicamente soltanto nel senso di evitare, in ragione del principio di completezza dell’ordinamento giuridico, che il giudice possa pronunciare un non liquet, a causa la mancanza di norme che disciplinino la fattispecie. La regola, secondo cui l’applicazione analogica presuppone la carenza di una norma nella indispensabile disciplina di una materia o di un caso (cfr. art. 14 preleggi), discende dal rilievo per cui, altrimenti, la scelta di riempire un preteso vuoto normativo sarebbe rimessa all’esclusivo arbitrio giurisdizionale, con conseguente compromissione delle prerogative riservate al potere legislativo e del principio di divisione dei poteri dello Stato. Onde non semplicemente perché una disposizione normativa non preveda una certa disciplina, in altre invece contemplata, costituisce ex se una lacuna normativa, da colmare facendo ricorso all’analogia ai sensi dell’art. 12 preleggi.

Non si può procedere ad uninterpretazione asseritamente estensiva – ma, in effetti, eversiva – del significato della formulazione letterale.

L’interpretazione giurisprudenziale non può che limitarsi a portare alla luce un significato precettivo (un comando, un divieto, un permesso) che è già interamente contenuto nel significante (l’insieme delle parole che compongono una disposizione, il carapace linguistico della norma) e che il giudice deve solo scoprire. L’attività interpretativa, quindi, non può superare i limiti di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza.

Proprio detti limiti, in definitiva, segnano la distinzione dei piani sui quali operano, rispettivamente, il legislatore e il giudice, cosicché il “precedente” giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte della nomofilachia, non ha lo stesso livello di cogenza che esprime, per statuto, la fonte legale , alla quale soltanto il giudice è soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.).

 È in tal senso, pertanto, che la funzione assolta dalla giurisprudenza è di natura “dichiarativa”, giacché riferita ad una preesistente disposizione di legge, della quale è volta a riconoscere l’esistenza e l’effettiva portata, con esclusione di qualunque efficacia direttamente creativa.

Cassazione civile, sezione seconda, ordinanza (rimessione alla Corte Costituzionale) n. 1203 del 17.1.2023

Condividi
Visualizza
Nascondi